Chiamarlo condimento è veramente riduttivo. L’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia DOP è un distillato di storia ed eccellenza.
Un condimento gioiello
Era infatti il 1046, quando l’imperatore di Germania Enrico III, in viaggio verso Roma per l’incoronazione, fece tappa a Piacenza. Qui si rivolse a Bonifacio, marchese di Toscana e padre della famosa contessa Matilde di Canossa, la richiesta di omaggiargli uno speciale aceto che “aveva udito farsi colà perfettissimo”. Per dare un’idea della sua preziosità basti dire che nell’Ottocento la dote della nobildonna che si maritava era arricchita con “vaselli di aceto balsamico” e batterie di “botticini”.
Le uve
«Abbiamo creato questa azienda – spiega Cristina Crotti, titolare, insieme alla sorella Silvia del Borgo del Balsamico di Reggio Emilia – sulle basi di un’antichissima acetaia di famiglia. Le batterie sono state per anni curate con passione da nostro padre. Tutte le botticelle sono antiche, la più vecchia risale al ‘700. Conosciamo la storia di ognuna perché abbiamo un archivio che tiene conto di ogni acquisto e di ogni travaso». Già, perché il processo produttivo del balsamico tradizionale di Reggio Emilia DOP è molto articolato. Si parte dal mosto di uve di Lambrusco e Trebbiano provenienti dalla provincia di Reggio Emilia. Il mosto viene cotto a fuoco diretto finché si riduce della metà.
Maturazione e invecchiamento
«La maturazione e l’invecchiamento – continua Cristina – avvengono in batteria. Ovvero in una serie di minimo 3 botticelle da 50 a 10 litri circa realizzate con legni diversi che vanno dal rovere all’acacia, dal frassino al castagno, dal ciliegio al ginepro. Poiché ogni legno rilascia profumi e sapori unici legati all’essenza, ogni acetaia ha la sua impronta gustativa che differenzia il prodotto finito. Ogni anno, prima del gelo, si fanno i rincalzi. Ovvero si passa circa un 10% dalla botticella più grande alla più piccola in modo da creare un blend di legni e di annate».
Bollini e qualità
Al di là del ciclo produttivo, c’è un modo infallibile per valutare il balsamico al momento dell’acquisto. «Sulle bottigliette, che devono essere da 100ml – prosegue la Crotti – ci sono tre bollini di altrettanti colori identificativi di qualità di prodotto con periodi di affinamento diversi, ma sempre superiori a 12 anni. Il bollino aragosta certifica un minimo di 12 anni di affinamento, quello argento da 15 a 18 anni mentre quello oro è per il balsamico invecchiato almeno 25 anni».
Menù balsamico
Marta Scalabrini, Ivan Giglio e Giorgio Falzarano, i tre giovani chef titolari del ristorante di Reggio Emilia “Marta in cucina”, hanno raccolto la sfida delle sorelle Crotti di creare un menù che avesse come ingrediente, dall’antipasto al dolce, l’aceto balsamico tradizionale di Reggio Emilia DOP. «Il lavoro più difficile – spiega Marta – è stato di ideare un percorso intero. L’ordine in cui i prodotti e gli ingredienti sono stati utilizzati, la loro acidità, la dolcezza sono stati l’oggetto della riflessione alla base del menù. Un’ulteriore difficoltà è questa: fuori dalle zone di produzione, c’è una grande confusione sul prodotto; e colore, consistenza e addirittura indicazioni sull’invecchiamento rischiano di essere fuorvianti per la scelta e l’attribuzione di valore».